Pompei e l’inconscio archeologico: dal mito alla psiche
Da Redazione
Ottobre 06, 2025

Concludere una ricerca su Pompei significa inevitabilmente confrontarsi con ciò che la città antica rappresenta al di là della sua materialità: non soltanto rovine e reperti, ma una vera e propria stratificazione dell’anima collettiva. Una stratificazione che, come accade per la psiche, si presta a letture diverse a seconda dello sguardo: quello dello psicoanalista, del filosofo, dello scrittore o, più semplicemente, di chi osserva gli scavi sapendo che ogni muro sbrecciato custodisce un frammento di memoria.
Freud, Jung e Dostoevskij: tre archeologie interiori
Sigmund Freud, collezionista appassionato di antichità, vide nella psicoanalisi lo stesso metodo dello scavo: il terapeuta è l’archeologo che, attraverso indizi minimi, ricostruisce una storia rimossa. L’inconscio, per Freud, è come una città sotterrata, con strati sovrapposti che raccontano fasi diverse della vita.
Carl Gustav Jung ampliò questa visione, trasformando lo scavo interiore in un’impresa universale. Per Jung, sotto le rovine individuali si celano gli archetipi, strutture ancestrali comuni a tutta l’umanità, capaci di riemergere in sogni e miti. In questa prospettiva, Pompei può essere letta come la materializzazione di una “Grande Anima”, una città che restituisce immagini simboliche riconoscibili da chiunque.
Fëdor Dostoevskij, con le Memorie dal sottosuolo, anticipò la metafora dello scavo come esplorazione di un “inferno interiore”. Il suo sottosuolo non è un sito archeologico, ma un labirinto di coscienza, rancori e ossessioni, una Pompei interiore che non trova liberazione.
Lo scavo come metafora e come scelta
Il parallelo tra archeologia e psiche non è solo letterario o filosofico: è anche una questione pratica che riguarda la gestione stessa del sito di Pompei. Ogni scavo porta alla luce strati che inglobano altre epoche, imponendo la scelta drammatica tra cosa conservare e cosa sacrificare. Qui si innesta la riflessione di Cesare Brandi sulla “storicità”, che richiama l’urgenza di non considerare il restauro un atto di pura ricostruzione, ma un gesto critico capace di restituire senso senza cancellare le tracce del tempo.
Così Pompei, con le sue vite sovrapposte e le sue resurrezioni continue, diventa il luogo dove si incontrano archeologia, psicoanalisi e letteratura: uno scavo che non è mai soltanto nel terreno, ma nel cuore stesso della memoria umana.
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